E’ l’alba
soltanto della seconda mattina e ci sentiamo già a casa. Finalmente abbiamo
conosciuto davvero la bella e accogliente Zababdeh.
Sul terrazzo
della parrocchia battuta da un sole cocente, abbiamo appreso attraverso Abouna
Paolo la storia della cittadina. E’ sorprendente come una cittadina così
piccola e lontana dai centri di maggior interesse racchiuda in sé così tanta
storia, cultura e religione.
Le prime
testimonianze si hanno in periodo Bizantino (V-VI secolo). In seguito, nel
VI-VII secolo, se ne persero le tracce, forse a causa di uno o più terremoti che
distrussero molti importanti luoghi sacri palestinesi. Testimonianze successive
ricompaiono solo all’inizio del 1800, sotto il dominio turco-ottomano.
Ad insediarsi in
questo luogo è la famiglia/tribù dei
Kahlil proveniente da Taibè (sud Palestina), emigrata per un delitto di sangue.
Insieme ad una famiglia di Ibrahim dava vita a questa terra disabitata. Qua
vivono grazie alle numerose colture di olive e all’allevamento di capre,
attività dalla quale prende il nome la città di Zababdeh: in greco “burro”.
Nel 1883 giunge
nel paese un prete maronita appartenente al patriarcato latino, all’epoca
nascente, che insieme a due suore dà una svolta importante alla vita del luogo.
E saranno loro a spingere la popolazione a fare importanti passi avanti dal
punto di vista culturale, portando a migliorare tanti aspetti della vita, a
partire dalla situazione igienico-sanitaria e le relazioni familiari e sociali.
Nel 1945, con la
fondazione dello Stato d’Israele, Zababdeh rimane nel territorio palestinese.
Nei decenni successivi la zona vive periodi alternati di pace e scontro,
seguendo gli eventi che caratterizzano tutto il Medio Oriente. È proprio questa,
in particolare, una delle cittadine teatro della resistenza palestinese.
Anche Zababdeh,
all’alba del nuovo millennio, si trova isolata rispetto a molte zone limitrofe
a causa della costruzione del Muro. L’apertura di alcuni check-point di collegamento
verso il nord, nel 2007-2008, dà nuovo impulso alla città dal punto di vista
economico, permettendo l’arrivo di denaro e lavoro. Fondamentale in questa fase
è la costruzione e lo sviluppo dell’Arab American University Jenin, a pochi
chilometri di distanza, che non essendo orientata politicamente viene anche
riconosciuta dallo Stato d’Israele. Ciò incrementa ulteriormente il lavoro
della città, con lo sviluppo del settore terziario rivolto agli universitari,
che costituisce il fulcro dell’economia della comunità di Zababdeh.
Tutto questo non
è solo storia narrata ma è ben visibile attraverso tesori tangibili.
Stiamo parlando
dei mosaici portati alla luce e solo recentemente studiati dai francescani
Ne sono stati
ritrovati tre, e secondo le analisi probabilmente essi erano parte di unica
grande opera, ma l’elevato numero di metri che li separano fa nascere un grande
mistero: quanto poteva essere grande l’edificio che li conteneva?
E perché mai un
centro così insignificante all’epoca, di cui per secoli si sono perdute le
tracce, avrebbe dovuto ospitare un edificio di tale imponenza?
Cos’altro
nasconde Zababdeh?
Un tesoro o una
fantasia?
Vi teniamo
informati sulle indagini, i vostri cantieristi archeologi.
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